Le vedove

CdB di San Paolo - 12/11/06

 

1 Re 17, 10-16

Marco 12, 38-44

 

Nelle letture di oggi ci sono due figure di vedove, assunte a simboli – nella società maschilista di quel tempo – di tutti coloro che non contano, che sono abbandonati a sé stessi, che non hanno futuro.

Per capire cosa significhi per una donna rimanere vedova anche in tempi più recenti, raccomandiamo la visione del film Water, che racconta la storia di una vedova bambina ai tempi di Gandhi.

La vedova del Vangelo dà poco, ma quel poco è tutto ciò che ha – particolare questo rilevante agli occhi di Dio. I ricchi e i maestri della legge, “a cui piace passeggiare con vesti di lusso, essere salutati in piazza, avere i posti d’onore nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti”, si mettono in mostra offrendo molti soldi, ma offrono ciò che per loro è superfluo, la vedova invece dà ciò che per lei è essenziale per vivere.

Di fronte alla chiarezza tagliente di questa pagina del Vangelo, com’è stato possibile ricreare nelle nostre chiese gli stessi meccanismi e comportamenti condannati dal Vangelo, stringere patti con i potenti, lasciare le vedove e i poveri dove sono e dichiararsi nonostante questo seguaci di Cristo? Scrive Ernesto Balducci: “Noi abbiamo ricreato queste gerarchie, abbiamo perfino preteso, nei concordati, che ai prelati fosse riservato un onore pubblico, senza vergognarci, senza sentire che con questo si andava in maniera non indiretta o tortuosa, ma frontale contro questa pagina del Vangelo”.

Il messaggio evangelico rovescia le nostre logiche: è proprio su quelli che non hanno nessuno strumento per costruirsi un futuro che è riposta la speranza per un futuro diverso. Il futuro passa altrove, passa attraverso quelle regioni del mondo dove vivono gli esclusi, le vedove, i poveri.

Nel gruppo ci siamo lasciati interrogare da questo brano del Vangelo e ci siamo chiesti: ”Quando nella nostra vita e nelle nostre esperienze ci è capitato di mettere in gioco l’essenziale, come ha fatto la vedova, e non abbiamo dato via solo il superfluo?”

Per quante collette facciamo, per quante iniziative sosteniamo, dal punto di vista del nostro impegno economico non tocchiamo mai l’essenziale, rimaniamo sempre sul superfluo.

Ma quando dedichiamo alla comunità, ad attività di volontariato il poco tempo che abbiamo nella nostra frenetica giornata facciamo qualcosa che un po’ somiglia al gesto della vedova, mettiamo in gioco ciò che ai nostri tempi è davvero essenziale, che non avanza mai: il nostro tempo.

Se pensiamo alla generosità con cui alcuni adulti della comunità si sono rimessi in gioco accompagnando in Nicaragua i nostri ragazzi in un viaggio non privo di difficoltà, anche questo ha a che fare con ciò che nella nostra vita è essenziale: nell’incidente che hanno avuto per fortuna non è successo nulla di grave, ma Edoarda si è rotta due costole e le costole sono tutte essenziali, non ce ne sono davvero di superflue!

Pensando poi a noi genitori delle ragazze e dei ragazzi che sono andati in Nicaragua, ci è venuta in mente la storia di Siddharta, rinchiuso dal padre in un palazzo meraviglioso perché non scoprisse la sofferenza che c’era fuori. Forse non c’è nulla di più essenziale nella nostra vita di ciò che riguarda i nostri figli, ma alla tentazione del padre di Siddharta abbiamo resistito.

E in questo viaggio anche i nostri ragazzi e le nostre ragazze hanno messo in gioco qualcosa di sé. A loro la parola per raccontarci questa esperienza.

Dea Santonico


 

Nicaragua è veramente tutto: il caldo umido e quello secco, un sole diretto e gli acquazzoni.

Andare in Nicaragua è vedere tutto: ricchi e poveri, ville con piscina e baracche (ma con la tv sempre accesa).

Nicaragua è paesaggi fantastici, vegetazione lussureggiante e discariche popolate dai bambini, o immondizia bruciata nelle case, perché non si sa dove buttarla.

Nicaragua è cocaina che arriva dal mare, perché la polizia ferma i trafficanti, ma non il traffico.

Nicaragua è l’ “effervescenza” del periodo sandinista, con tutte le contraddizioni che portava con sé…. Nicaragua è tutto, è pulmini gialli che ricordano i cartoni animati, belle persone, del luogo e straniere, che si aiutano, è comunità quacchere e chiese dalla discutibile strategia.

In Nicaragua ci trovi veramente tutto, come trovi tutto nel “patio di dietro” di una casa, la sporcizia, le piante, il lavatoio… le risorse, tutto quello che si vuole tenere un po’ nascosto. Perché il Nicaragua è il patio degli Stati Uniti, come tutta l’America Latina.

Nicaragua è scoprire un posto diverso, un posto in cui finalmente non ti senti a casa, e senti anche un po’ la mancanza di casa, sarà che da essa ti separa un Oceano, e 17 ore di volo, sarà che è davvero tutto diverso. Perché le persone parlano piano, e ridono forte, perché si fanno le cose con calma, a meno che non ci si stia scatenando nei balli….

Nicaragua è case colorate, e pubblicità nei murales, è colori forti e fortissime contraddizioni. Èscoprire ciò che si era soltanto immaginato, dai libri, dalle parole. È vedere e ricordare che c’è un mondo diverso, al di là delle nostre case-mutui-lavatrici-tv-ospizi-ospedali-negozi.

Alice Corte

 


…. Visitiamo posti, facciamo la spesa, lavoriamo, curiosiamo, assaggiamo tutti i sapori di questa meravigliosa terra.

Certo pur essendo la città un mercato di colori non sono mancati i momenti in cui forse nel nostro io più profondo avremmo preferito stare nelle nostre case dove la povertà, la miseria e la rabbia di un popolo non è mai entrata. Sapevamo però, dove stavamo andando e che avremo incontrato situazioni difficili; questo ci ha spinto e ci spinge ancora nella nostra ricerca di un qualcosa di indefinito e poco chiaro ma non per questo poco importante.

Non poter andare in giro da soli, vedere ubriachi che barcollano sotto la pioggia, camminare e ritrovarsi ad assistere impotenti ad una rissa su un molo, essere vittime di un incidente  su un autobus di linea senza avere la certezza che arriverà l’ambulanza e anzi ritrovarsi in un ospedale senza le necessarie attrezzature, sovraffollato, con medici rassegnati, in totale assenza delle più elementari norme igieniche, rendersi conto che tutto questo fa parte della loro quotidianità e avere la consapevolezza di essere dell’altro mondo, quello ricco che se ne frega di situazioni del genere, anzi ci si adagia perfettamente. Beh, sentire tutto questo cosi, a pelle, sarà stato anche poco piacevole ma ci ha fatto crescere. ……

Sara Schiattone


…… A Puerto Cabezas ho passato giorni tra i più intensi della mia vita. Alla fine dell’ultima giornata di lavoro, seduto sulla solita camionetta col vento che mi colpiva la schiena e la nuca, guardavo ancora la città scorrere sotto i miei occhi: le case, le strade, la gente … in quel momento in cui la guardavo per l’ultima volta ho capito che Puerto Cabezas per me non è stata una città come le altre. In tutta la sua povertà per me vale cento volte più di Londra o di Parigi.

Puerto Cabezas è stata per me qualcosa, è stata tutto il Nicaragua, è stata il mio inizio. Nulla dopo il mio soggiorno in quella città potrà essere lo stesso: l’ho capito allora e lo sento ancora adesso che scrivo nella mia casa confortevole. Anche se sono tornato ai grandi palazzi di cemento, le strade di asfalto, i semafori, il traffico, il benessere, lo stereo, il cellulare, la tv, i vestiti firmati, le luci dei negozi, non potrò scordare la terra, il legno, il fango, le macchine sgangherate, gli autobus traballanti, le povere palafitte, le fogne a cielo aperto e l’immondizia bruciata ai bordi delle strade, i cani moribondi … Non potrò dimenticare che da qualche parte, ad un oceano di distanza da noi, c’è Puerto Cabezas con la sua miseria e un popolo dimenticato che continua a soffrire.Sento che quella piccola città starà sempre lì a ricordarmi che c’è qualcuno che ha bisogno di aiuto, che chiede di essere ascoltato e che io dovrò fare la mia parte. ……

Termino con un ringraziamento a tutti i miei compagni di viaggio, che hanno condiviso con me questa avventura e a tutti coloro che hanno creduto in noi: i nostri accompagnatori, la comunità di S. Paolo, che ci ha sostenuto, il FUPADE, che ci ha permesso di rendere concreto il nostro aiuto, i nostri genitori, che ci hanno consentito di vivere questa esperienza meravigliosa. Un saluto alle tante persone incontrate ed uno in particolare a Puerto Cabezas, la città di legno e di terra rossa, la mia Nicaragua, nella speranza che, per quanto la pioggia possa cadere forte, non si porti mai via con sé la voglia di ridere ancora.

Emanale Toppi

 

 

 

 

 

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