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Cari amici della cdb di s.Paolo,

apprezzando molto la vostra iniziativa solidale, a partire da una profonda stima che nutro per Voi e per la storia onorevole della Vs. comunità, vi invio un testo che mi è stato sollecitato dalla vostra lettera aperta ai cittadini e cittadine di altre nazionalità che vivono in Italia.

Allego questo testo, ringraziandovi, con un caro saluto,

Giovanni Laino


Giovanni Laino *

OLTRE LA NOSTALGIA DEL TOTALMENTE ALTRO

La Comunità Cristiana di base di San Paolo di Roma è nota nella storia del cristianesimo critico in Italia, non solo per il suo leader, Giovanni Franzoni, ma anche per la presenza di persone generose, come Filippo Gentiloni o Giulio Girardi impegnate anche nella ricerca culturale.

Con altre meritevoli organizzazioni ha scritto per Natale una “Lettera aperta ai cittadini e cittadine  di altre nazionalità che vivono in Italia”, carica di spirito solidale e di accoglienza.

Le condizioni di vita dei migranti in Italia stanno diventando una cartina di tornasole della grave impraticabilità e indisponibilità di diritti fondamentali.

Un orientamento che incarna il razzismo da parte di molti italiani, non solo benestanti, realizza colpevoli e irresponsabili campagne di politiche del Governo nazionale e di disinformazione. Pratiche che rivelano quanto le persone migranti diventano il capo espiatorio per ampi gruppi sociali che non trovano modi più veritieri ed onesti per trattare le paure e le incertezze che vivono. I respingimenti e gli sgomberi sono le espressioni estreme di un crescente razzismo di alcuni settori politici e di altri esponenti delle classi dirigenti volti a strumentalizzare timori che hanno ben altre cause.

Come sostiene la Caritas occorre smontare le campagne di disinformazione: i migranti sono una risorsa per il nostro paese, non solo per il contributo culturale o per le cure essenziali che offrono per tante nostre famiglie, o per il lavoro in tante imprese. Nel 2007, con il loro lavoro, gli immigrati in Italia hanno prodotto versamenti per sette miliardi di euro di contributi previdenziali e con le rimesse danno un sostegno alle economie dei paesi di origine nettamente superiore alle briciole che riusciamo a dare con i fondi della Cooperazione internazionale.

Ormai l’Italia per la presenza di stranieri ha un dato superiore alla media dei paesi europei, restando dietro solo a Francia e Germania. Le politiche nazionali però oltre a subire la pochezza e la strumentalità del Decreto Sicurezza sono complessivamente inidonee.

Dinnanzi a queste forme del patire, come pensano e dicono diversi amici, anche non credenti, il discorso della montagna (Matteo 5) chiarisce alcuni valori essenziali anche se siamo ancora incapaci di dire con altre parole il senso non privo di mistero dell’esperienza religiosa di tanti di noi.

Confesso però che nella lettera, avverto una semplificazione che produce per me un disagio, quando del  Natale dice: “E’ sorta come ricorrenza religiosa; poi, nel tempo, senza perdere per i credenti il significato originario, è divenuta la festa degli affetti e delle relazioni sicché è ormai una festa di tutti e tutte, credenti e non credenti. Ricorda la comparsa nel mondo di una grandissima buona notizia: l’eguaglianza di tutti gli esseri umani.”

Certamente nei nostri contesti si tratta soprattutto di un evento, un rito utilizzato come occasione di consumo e commercializzazione di merci per surrogare domande esistenziali che non riusciamo a trattare in altro modo. Di fronte a tanta muta angoscia del poco senso che in tanti ritroviamo nell’esistenza quotidiana, constatando la ricorrente afasia del dialogo sociale, cerchiamo dall’atmosfera occasioni di cura. Giustamente gli amici della Comunità romana auspicano che questo Natale che apre all’anno mondiale contro la povertà, sia una festa degli affetti e delle relazioni. 

In queste settimane, molti in realtà sperimentano ancor più disagio e solitudine, poiché le festività mettono in luce, più di altri momenti, le criticità delle condizioni, delle relazioni, le solitudini, le ipocrisie, le insoddisfazioni, oltre che le gravi divergenze di condizioni di vita. Anche fra gli autoctoni ci sono centinaia di migliaia di famiglie che hanno problemi a mettere il piatto a tavola. In Italia ci sono tante situazioni in cui poveri cristi anonimi hanno diritti negati e dove ha senso farsi prossimo. Sempre più spesso si tratta anche di persone migranti che vivono condizioni abbastanza simili a quelli della famiglia di Nazareth. E’ impressionante il livore ideologico – e la pochezza culturale – di coloro che si agitano per difendere l’immagine sacra delle croci essendo allo stesso tempo del tutto disponibili ad avallare la rottura delle ossa di tanti cristi anonimi e la non accoglienza di bambini che reincarnano la condizione del Nazareno.

Per noi come per loro, senza sminuire il valore primario della Cena, dell’accoglienza nella condivisione, praticata prima e più che enunciata, la Buona Notizia però è anche altro.

Come dinnanzi alla morte, che anche in questi giorni ha nascosto persone care, molti di noi credenti non troviamo le parole, provando imbarazzo se non disorientamento. In molti ci ritroviamo con una fede impoverita, svuotata e poco convinta del valore delle formule catechetiche. D’altra parte abbiamo abbandonato i chiostri della cura della spiritualità e non siamo riusciti a fare dei marciapiedi della storia i nostri eremi. La secolarizzazione e l’impegno sociale in cui ci siamo buttati a capofitto, ci ha forse depurati da scorie devozionali ma affiora la sensazione di aver buttato il bambino con l’acqua sporca.

La secolarizzazione e il portato di una mutazione che ci continua a cambiare nella testa e nel cuore, oltre che nelle abitudini culturali, hanno messo a dura prova e spesso smagnetizzato i nostri vecchi riferimenti alla Parola, senza rinnovarli.

Senza sminuire il contributo di alcuni biblisti, che non a caso hanno un significativo successo, anche editoriale, anche la gerarchia cattolica, i religiosi e i preti di gran parte delle nostre chiese, non riescono a dare parole di vita.

Senza negare tutto questo, apprezzando profondamente la strada della Carità nel senso più nobile della parola, mi sembra comunque molto riduttivo l’assimilazione della buona notizia alla Eguaglianza. Soprattutto per due motivi. Sarà che non sono abbastanza aperto e solidale ma, in verità, confesso che da tempo sto anche pensando al fatto che probabilmente il fraintendimento intorno alla prospettiva della liberazione fondata sull’assunto “liberi e uguali” è uno dei motivi di fondo della crisi delle idee e delle lotte di liberazione di tutto il Novecento. Una questione che è stata semplificata ed ha alimentato visioni ideologiche, dottrinarie che, alla fine, hanno fatto del male alle culture della liberazione.

Individuo e differenza per le culture laiche e progressiste che si propongono di pensare la liberazione sono oggetti di difficile trattamento. In molti di noi agisce una tendenza alla rimozione anche se poi nell’esperienza ci ritroviamo continuamente a fare i conti con la soggettivizzazione e l’alterità di alcune differenze. E’ una questione difficile.

Il Lupo e l’agnello dormiranno insieme…. (Isaia 11).  Ma la conversione radicale non suggerisce necessariamente la scomparsa delle differenze. Il trattamento delle differenze da molto tempo è un problema per le culture della liberazione. La questione trova qualche eco anche nelle ricerche degli studi post coloniali che suggeriscono un superamento delle prospettive multiculturali con un trattamento più complesso delle differenze, oltre l’assimilazionismo.

Ma soprattutto, vorrei continuare a sperare che il Bambino che per noi è nato, nonostante la nostra perdurante sordità, ci dice una Parola di vita che risponde radicalmente alla nostra mortalità, patente già nell’incapacità di essere creativamente fratelli. Non penso che possiamo negare o sottovalutare una crisi di visioni e linguaggi ma vorrei che si evitasse una deriva filantropica che, per quanto onesta, necessaria in mezzo a tanto egoismo, non credo sia idonea alle domande che anche le persone provenienti da altri mondi esprimono. Oltre la nostalgia del totalmente altro, senza sminuire limiti, contraddizioni, ambiguità, natale apre al progetto, come hanno sperato coloro che son partiti dalla loro terra, anche perché, Qualcuno viene…..

 

*Associazione Quartieri Spagnoli Onlus, Napoli
 


Caro Bartolomeo,

che bella lettera, che bella riflessione.

Come Giovanni Laino dice bene una perplessità che ho avvertito anch'io! Non ho scritto nulla perchè in questo momento anche la tensione filantropica è un valore elevatissimo, in forte pericolo, sicchè mi è sembrato che non si dovesse appannare questa iniziativa bella in sè e che ha il coraggio di rompere un muro di silenzio e di acquiescenza. La bella notizia limitata all'uguaglianza l'ho vissuta come un tentativo di mediazione, una base-line che potesse andare bene per tante condizioni culturali e religiose e, come poi succede, le mediazioni annullano lo specifico. Invece la bella argomentazione di Giovanni fa dire bene la perplessità e si comincia a nominare la differenza che non allarma, la differenza che nell'essere assertiva del proprio credo ras sicura sull'intenzione di non essere aggressiva, anche perchè quel Bambino, che viene, dà alla cura della differenza e della vulnerabilità uno slancio originalissimo, pieno di bene radicale e di rispetto della soggettività, fino al punto che ciascuno è chiamato per nome, per essere amato e accolto. Mi piacerebbe dire direttamente a Giovanni la mia gratitudine per quanto ha scritto sull'iniziativa e sulla vostra comunità, ma non ho un recapito elettronico.

A te il mio saluto riconoscente, come al solito.

Ciao Raffaele Iavazzo


LA RISPOSTA DI NINO LISI DELLA CDB DI S.PAOLO

Caro Berto,

senza nulla togliere al valore della riflessione di Giovanni Laino, articolata e complessa, vorrei rimarcare un aspetto colto da Raffaele Iavazzo.

E' evidente ed anche ovvio che sarebbe riduttivo considerare la Buona Notizia, che con il Natale cristiano si celebra ogni anno, solo come annuncio dell'eguaglianza di tutti gli esseri umani e sarebbe parimenti riduttivo considerare il Natale solo come festa degli affetti e delle relazioni.

Ma la "lettera" non è indirizzata ai cristiani e non vuole nemmeno contenere spunti di riflessione teologica; è semplicemente un invito rivolto a persone che in grandissima maggioranza non sono cristiane, per invitarle a festeggiare con noi il Natale.

Propone perciò due ragioni:

- ricordare che per i cristiani il Natale conserva il significato originario

- che possano far sentire questa festa. anche come una loro festa.

E sono ragioni, per altro, non estranee al "Natale cristiano", ma anzi intrinseche alla Buona Novella. Sotto questo profilo,perciò, non si tratta nemmeno di una mediazione, ma solo di aver messo in luce ciò che di "nostro" può essere accettato dagli altri/e e condiviso con loro.

Ciò detto, vorrei sottolineare due aspetti.

In un epoca fortemente secolarizzata e di consumismo imperante, che il Natale sia percepito da non credenti come festa delle relazioni e degli affetti mi sembra tutto sommato positivo: qualcosa, sia pur minima, del significato del Natale vive anche tra i non credenti (mi si perdoni l'espressione impropria che utilizzo per brevità).

Vuol dire che nella società qualche valore cristiano è rintracciabile. In un'epoca in cui rigurgiti di razzismo non sono rari e sono anche frequenti norme legislative ed interventi politici discriminatori che incrementano emarginazione ed esclusione sociale, rivendicare il diritto all'eguaglianza di tutti e di tutte in nome dell'annuncio fatto a Betlemme, è richiamare un elemento della Buona Novella fortemente eversivo all'epoca, che mantiene ancora oggi una forza dirompente e può mettere insieme (in festa o no) cristiani e non cristiani, credenti e non credenti, gli scarsamente credenti e i diversamente credenti (ancora perdono!).

Nino Lisi