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MARIA E ELISABETTA

Domenica 20 Dicembre 2009 – IV di Avvento                            

     Gruppo Roma Sud-Est della CdB di S. Paolo

Commento al Vangelo di Luca (1, 39-56)

La riflessione del gruppo si è incentrata sul testo del Vangelo, l’incontro tra Maria ed Elisabetta, a cui abbiamo voluto aggiungere il Magnificat, la preghiera che l’evangelista mette in bocca a Maria.

Questo brano fa parte di una serie di racconti sull’infanzia di Gesù, che troviamo nelle prime pagine del Vangelo di Luca. Se non possiamo leggere questi racconti come narrazioni storiche, è interessante però riflettere sul loro significato simbolico.

Luca non sapeva nulla della nascita di Gesù, nato nel più completo anonimato, sapeva però come era vissuto, cosa aveva detto e fatto, e soprattutto sapeva perché e come era morto. Sapeva che si era inimicato i potenti per le sue scelte dalla parte degli emarginati e che perciò era stato umiliato, deriso e condannato a morte per crocifissione, la morte che veniva riservata alla feccia dell’umanità.

Tutte queste cose aveva in mente Luca e pensò che la nascita di un uomo così non poteva che essere stato un grande evento. E questo evento se lo è immaginato e lo ha dipinto in queste bellissime pagine del suo Vangelo.  

Se tutti i Vangeli ci raccontano l’incontro tra Giovanni e Gesù, Luca inventa la loro parentela e la parentela delle loro madri, per suggerirci, attraverso questa costruzione, che Dio ha pensato alla missione di Gesù fin nei dettagli, ma anche per far risaltare la superiorità di Gesù sul Battista, già da quando erano entrambi nei ventri delle loro madri. Sappiamo a questo proposito la competizione che era nata tra i discepoli di Gesù e quelli di Giovanni su chi fosse il più grande tra i due maestri.

Bello nella sua essenzialità l’incontro tra le due donne. “Giunta a casa di Zaccaria (Maria) entrò e salutò Elisabetta”. Non dice il brano del Vangelo se Zaccaria fosse o no in casa, non ha nessuna importanza qui la figura del padrone di casa, Maria saluta Elisabetta. C’è nel loro saluto, nel loro incontro, qualcosa che ricorda la complicità tra donne e tra donne che condividono un’esperienza forte, come quella della gravidanza, che cambia il loro corpo, il loro modo di sentire e pensare la vita, che le rende attente a tutto ciò che avviene dentro di loro – “il bambino le si agitò in grembo” – perché è così, attraverso il loro corpo, che imparano a comunicare con la loro creatura, prima ancora di conoscerne i lineamenti del volto, prima di sentire la sua voce.

L’immagine che ci da Luca di Maria incinta sembra poi essere stata censurata. Se innumerevoli sono i dipinti che ritraggono la Madonna col bambino, decisamente di meno sono i pittori che hanno dipinto Maria con la pancia.

L’immagine che il brano di Luca trasmette di Maria incinta è importante e sgombra il terreno da possibili idee strane. Dio si incarna per farsi vicino all’umanità, per farsi prossimo, e lo fa attraverso il corpo di una donna. E’ un’incarnazione vera, come vera è la pancia di Maria che cresce.

L’incontro tra Maria ed Elisabetta è anche l’incontro tra due donne “irregolari”: una donna anziana e sterile, Elisabetta, e una ragazza-madre, Maria; due donne che, contro ogni aspettativa e ogni speranza, si sono aperte alla vita.

A questo proposito siamo andati a risfogliare le pagine del libro L’altra metà della Chiesa - Essere femministe e cristiane.

Scrivono Franca Long e Rita Pierro, riferendosi alla genealogia di Gesù che troviamo nel primo capitolo del Vangelo di Matteo:

“E’ interessante notare come in questa genealogia maschile, Matteo inserisce cinque nomi di donne, accomunate dall’irregolarità del loro stato nei confronti della norma sociale.

La prima è Tamar, […] che si era finta prostituta, rimanendo così incinta direttamente dal patriarca Giuda. La seconda è Rahab, la prostituta di Gerico […]. La terza è Ruth, una straniera. La quarta è Bathsheba, moglie di Uria. Davide, per averla è diventato adultero e assassino; dalla loro unione nascerà Salomone, il re saggio. La quinta donna è Maria, ragazza-madre; suo figlio è Gesù di Nazareth, il Messia.

Il tema della nascita di Gesù da una vergine non ha nel Vangelo il significato che poi gli hanno dato secoli di predicazione e di speculazione antifemminista. La verginità non era nel popolo di Israele una condizione felice ed esaltante, tutt’altro: era una situazione infelice. Quando, ad esempio, la figlia del giudice Jefte (Giudici 11,37) venne condannata a morte, chiese al padre alcuni giorni per andare a piangere la propria verginità con le compagne”.

Il messaggio è dunque quello che la Bibbia insistentemente ci ripropone: è a partire dalle situazioni di emarginazione (prostitute, donne sterili, straniere, ragazze-madri) che Dio compie i suoi prodigi più grandi, a dispetto di tutto, facendosi beffa del disprezzo sociale di cui sono fatte oggetto le creature che lui sceglie, è sulle pietre scartate che costruisce la casa.

E Maria, anche lei pietra scartata, innalza la sua preghiera a Dio, nella sua fede si affida a lui, è una fede piena, capace di andare oltre le evidenze, oltre i calcoli e le previsioni: “Ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore, ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote”.

Il nostro pensiero va alle beatitudini, che ci raccontano un Dio di parte, il Dio dei poveri e degli umiliati, ma le parole del Magnificat, forse proprio perché messe sulla bocca di una donna, e di una donna umile come Maria, acquistano una forza straordinaria e fanno vacillare i troni dei potenti.

L’ultima riflessione che abbiamo fatto è sulla fretta di Maria nell’affrontare il suo viaggio: “Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda”. 

Da notare che per andare da Nazareth, in Galilea dove si trovava Maria, verso la Giudea, la strada più sicura era quella lungo la vallata del Giordano, non la regione montuosa, la Samaria, dove si correva il rischio di rimetterci la pelle.

Ma Maria, nel racconto dell’evangelista, parte e si dirige proprio verso la regione montuosa.

Scrive Franco Barbero nel suo commento a questo brano: “Questo quadro teologico, anche ad una lettura veloce, suscita una deliziosa visione: una giovane donna parte e si dirige verso una zona montagnosa con passo deciso. Il suo cuore la spinge a portare, a condividere la bella notizia. 

Penso alle nostre chiese – comunità spesso così ferme, ripetitive, chiuse in se stesse, senza la grinta che è necessaria per mettersi in viaggio verso il futuro, per affrontare le “montagne” dell’incerto e di una “navigazione nell’ignoto” […] E’ l’incontro con lo straniero, con la responsabilità del creato, con la difesa dei diritti delle persone meno favorite e più escluse che può ridare fiato e senso al nostro “viaggio” di uomini e donne credenti. La fede che non fa i conti con la “montagna” del razzismo crescente, con il degrado della democrazia, con il soffocamento della libertà, diventa puro e semplice devozionismo. […]

Il testo dice che Maria andò in fretta, senza frapporre indugi. Il Vangelo mi sollecita a decidere oggi, a fare la mia parte oggi. […]

Vorrei dirlo con la parole del Qohelet:

Se aspetti il vento favorevole

non semini più

Se stai a guardare quando pioverà

non ti deciderai a mietere

Tanto il mattino che la sera

è tempo buono per seminare”