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Comunità Cristiana di Base di san Paolo - Roma, Eucarestia del 31 gennaio 2010

 

NEL TEMPO DELLA PROVA

 

Inizio

Pensiero iniziale – Don Milani (Lettera a una professoressa)

Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne insieme è la politica, sortirne da soli è l’avarizia.

 

Ascolto

Introduzione al tema:

Una donna nera vaga in mezzo alle macerie

come un fantasma imbiancato dalla polvere,

urla,

si strappa i capelli e le vesti.

 

A pochi metri di distanza

un uomo, prostrato a terra,

prega.

 

Una donna ferita,

abbandonata su un marciapiede,

canta.

 

Una bambina insanguinata

giace stremata sulla strada

accanto a cadaveri e rifiuti,

resiste,

protetta solo dal corpo della madre

che la tiene in vita con il suo amore,

accarezzandola,

nella speranza che arrivino i soccorsi.

 

Un bambino magrissimo,

estratto vivo dalla casa che gli è crollata addosso,

alza le braccia al cielo in segno di vittoria.

I parenti e i volontari che lo hanno salvato,

commossi, si guardano negli occhi

e tutti insieme esultano,

alzando le braccia al cielo.

 

Una bambina con gli arti amputati

e due grandi occhi neri

giace silente sulla barella dell’ospedale da campo.

Il padre le fa vento con la mano

e scaccia le mosche dal suo viso.

 

I bambini rimasti vivi

dopo il crollo di un’ala dell’orfanotrofio,

giocano con le telecamere dei cronisti.

 

Una moltitudine di persone affamate e assetate,

in fila da ore sotto il sole,

armate di pentole e taniche vuote,

protesta davanti ai giornalisti,

per denunciare

il ritardo nella distribuzione dei viveri

che, da giorni, sono stivati nei camion.

 

Gruppi di uomini, donne e bambini

corrono sospinti da folate di vento

con le mani protese verso l‘alto

calpestandosi e litigando

per accaparrarsi le razioni di viveri

lanciate dagli elicotteri.

 

Uomini che alcuni giornalisti chiamano sciacalli,

esasperati dalla mancanza di tutto,

si contendono i sacchi di riso

e cercano di appropriarsi di qualsiasi cosa,

mentre guardie della sicurezza privata,

con feroce determinazione,

li massacrano a calci e pugni

o sparano per ucciderli.

Tutto ciò

davanti agli occhi dei bambini…

 

Sono solo alcune delle immagini più impressionanti

della tragedia che ha colpito la popolazione di Haiti,

già impoverita dal saccheggio dei paesi colonizzatori

e abbandonata da un governo ladro e corrotto.

Sono solo immagini…

ma ci sembrano eloquenti perché ci mostrano

la disperazione e la speranza,

il silenzio e il canto,

l’abbandono e la denuncia,

la violenza dell’ingiustizia,

diverse forme di carità e di amore:

la carità che si vanta,

la carità solidale di chi agisce nell’ombra con umiltà,

l’elemosina che disumanizza e toglie dignità,

l’amore che aiuta a sopportare e a resistere,

l’amore che cura le ferite del corpo e del cuore,

l’amore che gioisce quando salva una vita.

 

Per riflettere insieme su questa realtà abbiamo scelto:

un brano di Giobbe e uno del vangelo di Matteo,

un’appello per l’azzeramento del debito estero di Haiti

e il brano della prima lettera ai Corinzi,

anche in continuità

con l’assemblea eucaristica di domenica scorsa.

 

Dall’appello lanciato in rete da Avaaz per l’azzeramento del debito estero di Haiti

E’ sconvolgente: anche se stanno arrivando aiuti ad Haiti per soccorrere la popolazione disperata, in realtà questo denaro si sta utilizzando in gran parte per ripagare l'enorme debito del Paese: un debito di più di un miliardo di dollari generato ingiustamente per anni da governi e prestatori senza scrupoli.

Già prima del terremoto, Haiti era uno dei paesi più poveri al mondo.

Dopo che gli schiavi haitiani si ribellarono e conquistarono l'indipendenza nel 1804, la Francia richiese centinaia di milioni di franchi come compensazione, dando così vita ad una spirale di povertà e debito ingiusto che si è prolungata per due secoli. Negli ultimi anni, la gigantesca campagna per la riduzione del debito estero ha risvegliato la coscienza mondiale. E anche in questi ultimi giorni i prestatori – sotto una crescente pressione pubblica - hanno iniziato a dire cose più giuste sulla cancellazione del devastante debito estero di Haiti.
Ma le cose possono essere molto diverse nella pratica. Per esempio, anche se dopo lo tsunami del 2004 il Fondo Monetario Internazionale annunciò una riduzione del debito estero dei paesi colpiti – il debito reale continuò a crescere. Appena l'attenzione pubblica è calata le somme derivate dai prestiti si sono ulteriormente accresciute.
E' arrivato il momento di azzerare il debito estero senza condizioni e di fare in modo che gli aiuti per il terremoto siano fatti come sussidi, non come prestiti.

Mentre guardiamo le immagini alla televisione o al computer, è difficile non rimanere impressionati.  La storia delle relazioni dei paesi ricchi con Haiti è davvero oscura, eppure, momenti come questo possono generare una trasformazione, dobbiamo  far sentire le nostre voci di cittadini del mondo per trovare una soluzione alle tragedie create dall'uomo che hanno lasciato i nostri fratelli e sorelle di Haiti così vulnerabili alle catastrofi naturali.

 

Giobbe 1,18-22

Quello parlava ancora, quando ne giunse un altro a dire: «I tuoi figli e le tue figlie mangiavano e bevevano vino in casa del loro fratello maggiore; ed ecco che un gran vento, venuto dall'altra parte del deserto, ha investito i quattro canti della casa, che è caduta sui giovani; essi sono morti; io solo sono potuto scampare per venirtelo a dire».

Allora Giobbe si alzò, si stracciò il mantello, si rase il capo, si prostrò a terra e adorò dicendo: «Nudo sono uscito dal grembo di mia madre, e nudo tornerò in grembo alla terra; il Signore ha dato, il Signore ha tolto; sia benedetto il nome del Signore».

In tutto questo Giobbe non peccò e non attribuì a Dio nessuna colpa.

 

Matteo 27, 45-46

Da mezzogiorno fino alle tre del pomeriggio si fece buio su tutta la terra . Verso le tre, Gesù gridò a gran voce: “Elì, Elì, lemà sabactàni?”, che significa: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”.

 

1 Corinzi 13, 1-13

Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi amore, sarei un rame risonante o uno squillante cembalo. Se avessi il dono di profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza e avessi tutta la fede in modo da spostare i monti, ma non avessi amore, non sarei nulla. Se distribuissi tutti i miei beni per nutrire i poveri, se dessi il mio corpo a essere arso, e non avessi amore, non mi gioverebbe a niente.

L'amore è paziente, è benevolo; l'amore non invidia; l'amore non si vanta, non si gonfia, non si comporta in modo sconveniente, non cerca il proprio interesse, non s'inasprisce, non addebita il male, non gode dell'ingiustizia, ma gioisce con la verità; soffre ogni cosa, crede ogni cosa, spera ogni cosa, sopporta ogni cosa.

L'amore non verrà mai meno. Le profezie verranno abolite; le lingue cesseranno; e la conoscenza verrà abolita; poiché noi conosciamo in parte, e in parte profetizziamo; ma quando la perfezione sarà venuta, quello che è solo in parte, sarà abolito.

Quando ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino; ma quando sono diventato uomo, ho smesso le cose da bambino. Poiché ora vediamo come in uno specchio, in modo oscuro; ma allora vedremo faccia a faccia; ora conosco in parte; ma allora conoscerò pienamente, come anche sono stato perfettamente conosciuto.

Ora dunque queste tre cose durano: fede, speranza, amore; ma la più grande di esse è l'amore.

 

Riflessione

Commenti del gruppo:

Il grido di Gesù dalla croce ci ha sempre impressionato; ma a chi si rivolge Gesù, ol-tre che al Padre? Dove sono le donne e gli uomini che lo hanno seguito sulle strade della Galilea? Dove sono quelli che hanno diviso con lui il pane? Chi c’è sotto la cro-ce a gridare l’ingiustizia?

Gesù è solo nell’ora della sofferenza e della morte, e come qualunque essere umano, in punto di morte grida la sofferenza per l’abbandono; è solo così come sono soli i nostri fratelli di Haiti, quelli di Rosarno, le sorelline di Favara. Dove siamo noi, don-ne e uomini che diciamo di condividere, tra noi e con i più sofferenti, quel pane che Gesù ha dato come segno di fratellanza e di amore?

Cos’è questo silenzio? siamo capaci di farci sentire solo dopo una catastrofe o un e-vento tragico, per poi ripiombare nell’indifferenza e ricominciare a vivere come se niente fosse stato? Questo è amore?

Cos’è questo fatalismo che ci annebbia la vista e non ci  porta a mettere a nudo le cause e i responsabili di questi eventi luttuosi, come se fosse colpa della natura o del fato, e non di altri uomini che hanno profittato anche sulla povertà, che si sono arric-chiti anche sulle spalle dei più deboli e indifesi? Giobbe, uscito vivo dalla distruzione della casa non attribuisce a Dio la responsabilità della sciagura.

L’amore di cui parla Paolo nella lettera ai Corinzi ha un che di misterioso;  cos’è in concreto la carità?

Ci siamo chiesti in che cosa consista questo amore capace di far sparire “ciò che è imperfetto”; ci siamo chiesti se tutto si esaurisca con una dichiarazione di amore o se, per renderla autentica, ci sia altro da fare.

Forse fare la carità, privarsi di una briciola dei nostri averi per fare un’elemosina, mandare due Euro via Sms, per salvarci la coscienza o magari offrire qualche minuto del nostro tempo? E’ questo?

Forse è più facile dire cosa non è la carità.

Troviamo scritto: “ Il termine carità ha assunto un’accezione che lo rende inadatto a esprimere per i lettori moderni il significato che intendevano gli autori biblici. Tutta-via, il valore attuale del termine corrisponde all’ideale biblico del prendersi cura  dei membri più bisognosi della comunità….”

Prendersi cura: stare vicino, saper ascoltare, denunciare le operazioni sporche di pro-fitto, di speculazione, di inimicizia razziale, prima che avvengano i disastri, prima che la tragedia infierisca sui già espropriati di tutto; non rassegnarsi alle leggi domi-nanti, non giustificare.

Gesù oltre che spezzare il pane ha lavato i piedi dei discepoli, si è preso cura dei suoi amici.

Non è questa l’amicizia liberatrice praticata, per esempio dal Mojoca, quella per cui si spende Gerardo Lutte?

Non è quello che ha fatto Oscar Romero (che la Chiesa di Roma vuole oggi santifica-re), che come dice Enzo Mazzi “non ha vissuto per emergere ma per convergere, per dare forza e potere ai senza potere”.

Non dobbiamo rimandare il tutto a tempi futuri, ma prenderci cura ora, come ci è possibile con tutte le nostre energie, senza paura di scomodare lorsignori (di qualunque parte siano), testardamente dalla parte di chi, complice anche il nostro silenzio, vive sul baratro della povertà e dell’annientamento.

Un piccolo passo per prendersi cura, un piccolo passo per alleviare la solitudine da abbandono che ci viene urlata dalle fotografie e dalle voci; che ci viene urlata dalle mani tese; che ci viene urlata da chi inconsapevolmente è stato fregato da  coloro hanno deciso  e applicato la legge del “debito”; da chi è stato impoverito dallo sfrut-tamento e dalle speculazioni, è stato deprivato dalle cure e dai farmaci.

Sono le loro voci che ancora gridano “perché mi avete abbandonato?”

Sono le loro voci che ci ricordano che attraverso gli eventi quotidiani possiamo leg-gere le scritture in modo concreto; che solo attraverso questo intreccio tra quotidiani-tà e parola, tra giornale e Bibbia, possiamo costruire la nostra precaria identità di cre-denti in Gesù.

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Pensiero per la cena del Signore:

Tutto ciò che è necessario per il trionfo del male, è che gli uomini di bene non facciano nulla.

(Edmund Burke)