GRUPPO BIBLICO DELLA COMUNITA' CRISTIANA DI BASE DI S. PAOLO

"Pregare, oggi, in una cdb"

 

PREMESSA: In una recente assemblea la Comunità di S. Paolo ha convenuto nell'opportunità di riassumere in alcune "schede", da pubblicare sul sito,la situazione attuale della nostra ricerca su punti fondamentali della ragione d'essere e sulla prassi delle CdB.

Lavoro impegnativo e di non breve durata che dovrebbe auspicabilmente coinvolgere, su tracce predisposte e con modalità da definire, tutte le comunità che vorranno dare un contributo. Lavoro riepilogativo ma anche provvisorio, come provvisori sono sempre i risultati della nostra ricerca. Non quindi un "catechismo delle CdB" da contrapporre a quello della Chiesa cattolica, ma pur sempre qualcosa di utile per non disperdere una serie di rilevanti acquisizioni della nostra ricerca teologica e biblica e per chi, dall'esterno, volesse conoscerci. Per favorire in particolare questi "ospiti" (che recenti indizi fanno ritenere più numerosi di quanto si pensi) avremmo anche pensato di fare, una specie di "indice"ragionato, con rinvio alle più elaborate argomentazioni delle singole schede.

Come esempio di una "pre-scheda" , cioè di qualcosa che si potrebbe trasformare in una "scheda" come sopra ipotizzata, proponiamo, come gruppo biblico della comunità di S. Paolo, alla riflessione di tutti gli altri gruppi e comunità, un breve "excursus" dedicato alla "preghiera", che presuppone, come si capirà leggendolo, la elaborazione di altre "schede" su altri punti fondamentali (Dio, Evoluzione e creazionismo, Lettura biblica, Incarnazione, ecc, ecc.) qui solo accennati.

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Un discorso sulla preghiera presuppone ovviamente una riflessione, qui appena sfiorata, sulla percezione di Dio possibile nel nostro tempo. A questo proposito, in attesa di una più approfondita elaborazione, pensiamo che si possa intanto condividere l'affermazione, in vari modi e in vari tempi proposta, che la fede in un Trascendente non può essere razionale (altrimenti laragione verrebbe prima del Trascendente) ma almeno deve essere ragionevole cioè non in contrasto con la nostra ragione, altrimenti si tratterebbe di due entità del tutto estranee tra di loro e arbitrariamente giustapposte. In altre parole, chi volesse oggi affrontare una riflessione su Dio (che sopra abbiamo chiamato"Trascendente" per significare come la discussione al riguardo debba partire dal massimo di genericità) non potrebbe intanto prescindere dai nuovi apporti della scienza, come l'evoluzionismo e la conseguente messa in discussione del "creazionismo immediato" di matrice biblica e sarebbe quindi costretto, tanto per cominciare,a lasciare sempre più sullo sfondo l'immagine antropomorfica di Dio che invece domina (con alcune straordinarie eccezioni) non solo nella Bibbia - e questo è comprensibile data la mentalità dell'epoca - ma ancora nell'insegnamento corrente della Chiesa cattolica (vedi il compendio del nuovo catechismo) e questo è assai meno giustificabile. La visione dell'essere umano ad "immagine di Dio"può avere una sua valenza positiva quando con essa si vuole sottolineare la "sacralità" di ciascuna vita, ma può facilmente ribaltarsi nel rischio di un Dio costruito ad immagine dell'essere umano, dal quale (Dio) pretendiamo - abdicando dalle nostre responsabilità e dal nostro impegno - che supplisca alle nostre carenze e soddisfi i nostri desideri, spesso più incentrati sui nostri interessi che su quelli della società di cui facciamo parte.

Invece di un siffatto Dio "tappabuchi" che con tanto piacere vorremmo sentire al nostro fianco nei momenti di necessità, come una mamma amorevole e onnipotente, ma chetanti problemi ci procurerebbe poi ove deludesse le nostre attese, ci appare molto più proficuo pensare, come punto di partenza per una discussione, ad un Dio "incarnato", quale lo percepirono già alcuni di coloro che vedendo Gesù di Nazareth "operare con autorità", scacciare "i demoni" e perdonare i peccati, sentendolo dire "se io opero con il dito di Dio, ciò vuol dire che il Regno di Dio è (fra ) dentro di voi" (Mt., 12, 28)si meravigliavano e ringraziavano l'Eterno "di aver dato un tale potere agli uomini" (Mt., 9,8). Ai discepoli poi parve che questa "partecipazione al divino" si manifestasse (incarnasse) in tutti coloro che aderivano alle istanze fondamentali del Maestro, divenendo in tal modo a loro volta "figli di Dio" (Gv., 1,12). Un Dio, quindi, presente nell'umanità, la quale dunque - diremmo noi oggi -ha in sé una scintilla divina. Proseguendo su questa strada ci è datala possibilità di intravedere, sullo sfondo, non un muro invalicabile, ma una promettente prospettiva di riflessione su un dio che sia nel medesimo tempo trascendente e intimamente presente nel nostro essere; ma se è presente, lo è da sempre, variamente e gradualmente percepito e da Gesù "rivelato" in modo precipuo, essendo arduo pensare ad un intervento esterno nel corso dell'evoluzione. Certo, in tal modo un intervento creativo di Dio è anticipato al di là della massa informe di energia dalla cui esplosione l'universo pare abbia avuto i suoi, o uno dei suoi, inizi. In quella massa dobbiamo pensare che vi fosse già, inespresso, quest'essere umano che dopo miliardi di anni ha cominciato a pensare se stesso e a meravigliarsi di essere capace di condizionare, (non dico determinare ) nel bene e nel male, in una apparente libertà di scelta, l'ulteriore sua evoluzione. Ma che difficoltà è questa a confronto di quelle nelle quali incapperemmo inesorabilmente se seguissimo l'altra strada (quella del Dio antropomorfo e inefficiente tappabuchi)?

In questo contesto, che significa oggi pregare? Pregare chi? Pregare per chi o per che cosa? Pregare come? Gettati questi sassolini nello stagno, non possiamo fare a meno di seguirne qualche onda, senza presumere di arrivare alla sponda. Per quanto riguarda il "come", ci sembra innanzi tutto che si debba escludere da questa riflessione il pregare individuale, inteso come rapporto da persona a persona con Dio, non per disprezzo ma per rispetto della coscienza del singolo (è ben noto come nella mistica il rapporto con il Dio confessato dall'orante può raggiungere forme intensissime di dialogo, quasi di innamoramento che proprio perché tale non può essere narrato o imitato ma va solo vissuto da chi ha il dono di farlo); né vogliamo negare l'importanza che una più semplice preghiera individuale può avere per rafforzare il proprio impegno, nell'intento di far emergere in noi e realizzare, attraverso la nostra libera responsabilità, la buona volontà di Dio.

Pensiamo invece che sia legittimo e utile limitarsi qui ad una riflessione sulla preghiera nella nostra vita comunitaria. Ci pare tuttora necessario, in questo ambito, uno "schema," sia pure a larghe maglie, per lo stare insieme nelle assemblee liturgiche, in primo luogo per la celebrazione dell'eucarestia (in proposito si rinvia al lavoro elaborato dalla comunità in occasione dell'ultimo sinodo dei vescovi e alla traccia ad uso interno preparata anch'essa dalla comunità); nell'ambito liturgico pare altresì positiva la salvaguardia, salvo minimi ritocchi, di quelle poche formule che ci uniscono idealmente, passando attraverso tutta la storia del cristianesimo, alle prime comunità, almeno in quei casi in cui queste venerande tradizioni significhino qualcosa di ancor vivo oggi (pensiamo alle insostituibili parole di Gesù sulla frazione del pane, al "Padre nostro"); altro momento irrinunciabile è il riconquistato uso e commento della Parola da parte di tutti i partecipanti all'assemblea (ecclesia), poiché lo Spirito soffia dove vuole e purché questa libertà sia indirizzata, almeno nelle intenzioni, alla"edificazione della comunità" (I Cor, 14,12). Quanto poi alle libere preghiere dei partecipanti all'assemblea, si dice tradizionalmente che vi è una preghiera "di ringraziamento e lode" per le belle cose che ci capita di vivere e di vedere intorno a noi. E fossero tutte così le preghiere! Ma nel senso e sentimento tradizionali "preghiera" vuol dire richiesta e intercessione. Gesù ascoltava soprattutto preghiere di questo tipo e se ne faceva commuovere, talvolta le esaudiva, specialmente se fatte con fede e con speranza grande, sempre si faceva prossimo ai sofferenti e agli emarginati. Invitava a rivolgersi al Padre con fiducia e sobriamente, perché Dio non è sordo, anzi " sa già prima che glielo chiediate quello di cui avete bisogno" (cfr. Mt, 6,7.8)e di evitare quindi le lunghe, cantilenanti preghiere dei pagani che oggi riemergono alla grande con le medioevali o post-tridentine litanie, riesumate in molte chiese e "gruppi di preghiera". Invitava poi con gli esempi e con le parole a farsi operatori di pace e di giustizia accogliendo il Regno che viene. E a sua volta pregava il Padre, nella solitudine della sua coscienza e nel suo operare quotidiano. Ma se abbiamo messo in un cantuccio il dio "tappabuchi", come potremmo a questo punto sperare che Dio intervenga a risolvere i nostri piccoli o grandi problemi? A che titolo chiedergli "Signore, aiutaci a far questo o quest'altro, a capire la tua volontà, ad amarti nel prossimo; fa che il tale guarisca , o almeno che non soffra, che io deponga la mia ira e che abbia il coraggio di parlare al mio nemico; che senso ha l'invocazione:"ascoltaci, Signore"? Certo, se non abbiamo rinunciato all'idea escatologica di un Regno di Dio che ci viene incontro sul nostro cammino viene spontaneo augurarsi e auspicare che questo cammino si compia il più presto possibile (Marana tha) per vedere alfine trionfare la pace, figlia della giustizia. Sostanzialmente, tuttavia, le preghiere di intercessione e richiesta espresse nel corso dell'assemblea ci appaiono un modo di "scoprire le carte" dei nostri problemi attuali, concreti e specifici,di offrirli alla comunità per sollecitarne la memoria e l'impegno per la loro soluzione o attenuazione, perché da soli non ce la possiamo fare. In questo senso interpelliamo il Trascendente che non conosciamo attraverso il trascendente che conosciamo, cioè i nostri fratelli e sorelle, in perfetta osservanza dell'insegnamento evangelico (cfr. I Giov., 4,20) offrendo loro nel contempo la nostra collaborazione e con-passione. In questo senso, anche, il grido lacerante di Gesù sulla croce "Signore, Signore, perché mi hai abbandonato?" come più anticamente il grido di Giobbe, sono offerti più a noi che a Dio, come invito a prenderci sulle spalle la nostra parte di responsabilità per lenire le piaghe di Giobbe e denunciare la violenza del potere, senza chiuderci in un egoismo autoreferenziale che esclude l'avvento di ciò che ancora ci sfugge e ci sovrasta, ma anzi aprendoci allo Spirito e dandogli un corpo nel quale possa incarnarsi (Ebr., 10,5). In questo senso anche l'invito alla insistenza nella preghiera, che si legge ad es. in Lc., 11,5 sgg. e che sembra in contrasto con l'invito alla sobrietà di Mt., 6, 7.8 già citato, assume un senso ben preciso.

IL GRUPPO BIBLICO DELLA COMUNITA' CRISTIANA DI BASE DI S. PAOLO - ROMA